TRANSNATIONAL MIGRANTS COORDINATION

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Ovunque noi migranti dobbiamo far fronte alla violenza dei confini e allo sfruttamento brutale sostenuto dal razzismo istituzionale. Mentre chi già vive in Europa si scontra ogni giorno con il razzismo istituzionale, il ricatto dei documenti e lo sfruttamento, chi vuole entrare in Europa deve superare gli ostacoli posti dal regime dei confini, orchestrato dall’Unione Europea insieme ai paesi terzi con cui fa accordi sulla nostra pelle. Mentre alcuni di noi lottano contro i padroni per avere salari e condizioni di lavoro migliori, contro il razzismo delle Questure e delle Prefetture, o per ottenere la regolarizzazione, altri si organizzano per attraversare i confini, lottano contro l’oppressione nei campi di detenzione, si scontrano con la violenza nei paesi in cui sono bloccati fuori dall’Europa. Dietro la difficoltà del nostro quotidiano, si nasconde però una forza collettiva che dobbiamo organizzare.

In questi mesi di restrizioni poste dai provvedimenti contro la pandemia, l’attraversamento delle frontiere non si è fermato ed è anzi in continuo aumento ovunque, persino nel Regno Unito dopo la Brexit. Di fronte a questa spinta di libertà da parte dei migranti l’UE e i suoi Stati Membri rispondono con la brutale chiusura dei confini, coinvolgendo paesi non Europei in una gestione criminale. La reazione europea di fronte alla minaccia di una «nuova crisi migratoria» dopo la presa del potere dei talebani in Afganistan, conferma l’obiettivo di limitare gli ingressi militarizzando le frontiere e incaricando i paesi limitrofi di detenere i migranti per filtrare la forza lavoro richiesta e svalutare quella in esubero. Non ci stupisce il rifiuto di accogliere i migranti afgani – se non in numeri irrisori durante la fuga dell’esercito USA da Kabul, o nella forma di manodopera altamente qualificata – demandando la gestione di tutti gli altri a paesi terzi dichiarati “sicuri”, anche se sono complici dei talebani. La logica dei ‘corridoi umanitari’ di cui si discute è solo un altro strumento che mette nelle mani dei paesi Europei la scelta arbitraria di chi si salva e chi no. Lo scopo di paesi-frontiera come la Libia, la Tunisia, il Marocco diventa così quello di trattenere i migranti in condizioni sufficientemente invivibili–anche attraverso le violenze, gli stupri, le torture spesso perpetrati nei centri di detenzione e dalle polizie di confine– da scoraggiare chi intende raggiungere l’Europa. In questa stessa ottica, lo scorso giugno l’Europa ha stanziato altri 6 miliardi di euro al regime autoritario, razzista e patriarcale di Erdogan. Lo stesso Erdogan che il 1° luglio ha ritirato la Turchia dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, attaccando di fatto tutte le donne e rendendo ancora più difficile la
vita per le donne migranti che sfidano continuamente la violenza dei confini europei. Ora l’UE annuncia di voler affidare il contenimento dei migranti afghani all’Iran e al Pakistan, fiancheggiatore dei talebani e per questo contestato dalle donne afghane, tanto osannate in Occidente per il loro coraggio. La totale incapacità di respingere la richiesta avanzata da una dozzina di paesi europei di proteggere maggiormente le frontiere esterne all’UE con muri e recinzioni, affidando anzi alle possibilità di ciascun paese la costruzione di barriere, conferma la volontà politica dell’Europa di irrigidire drammaticamente il suo regime dei confini.

Questi sviluppi vanno nella direzione disegnata nel 2020 dal nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo presentato dalla Commissione europea. Il Patto dà infatti indicazione di rafforzare le screening procedure con l’obiettivo di selezionare il più rapidamente possibile chi può entrare e chi no, rendendo i criteri per l’ottenimento dell’asilo sempre più arbitrari e ristretti. Il Patto prevede partenariati con paesi terzi per delocalizzare la gestione dei flussi ed esternalizzare la «questione migratoria» finanziando la costruzione di carceri a cielo aperto, investendo sul primo corpo armato dell’UE, cioè la nuova guardia di frontiera e costiera europea e incoraggiando la cooperazione fra Stati membri nel coordinare le espulsioni e i rimpatri volontari. Il messaggio politico rivolto ai migranti è chiaro: gran parte delle richieste di asilo saranno rigettate ancor prima di giungere formalmente sul suolo europeo, molti saranno reclusi per tempo indefinito nei centri di detenzione degli Stati-frontiera.

Queste priorità politiche legittimano di fatto l’uso della violenza ormai diffuso da parte di tutti gli Stati europei per ostacolare la libertà e contenere la mobilità dei migranti con ogni mezzo. Citiamo solo alcuni esempi: a maggio il governo spagnolo ha schierato l’esercito sulla spiaggia di Ceuta per accogliere con veicoli blindati e gas lacrimogeni i 6.000 migranti in arrivo dal Marocco. Contro i migranti in arrivo nella regione di Evros, quest’estate lo Stato greco ha giustificato l’acquisto e la fornitura di munizioni, granate stordenti M84, granate chimiche e armamenti, per un importo di 2 milioni di euro, forniti dall’UE, e ha rafforzato le forme di sorveglianza elettronica dei confini con droni e telecamere. Per fronteggiare possibili arrivi dall’Afghanistan la Grecia ha costruito un muro di 40 km al confine con la Turchia e questa, a sua volta, ha costruito un muro di 243 km con l’Iran. Alla luce della crescita degli ingressi in Polonia e Lituania di migranti provenienti dalla Bielorussia, i due paesi orientali hanno introdotto uno stato di emergenza temporaneo e hanno moltiplicato la presenza di truppe al confine e costruito recinzioni di filo spinato. Ovunque i migranti sono considerati strumenti di ricatto o pressione per ottenere finanziamenti e consenso politico.

Il piano dell’Europa non è però semplicemente quello di trincerarsi dietro muri e accordi con regimi autoritari, perché della forza lavoro migrante ha estremo bisogno, tanto più con gli effetti economici della pandemia. Così, mentre si fortificano i confini, si cercano modi per trovare lavoratori e lavoratrici migranti attraverso politiche selettive che generano ulteriori divisioni. Mentre rifiuta ogni soluzione per le e i richiedenti asilo africani, l’Ungheria deve far fronte alla mancanza di manodopera nella sanità, nei servizi di pulizie, nella ristorazione, nell’industria e nell’agricoltura attirando migranti dai paesi vicini. La Germania cerca di evitare nuovi arrivi di massa come nel 2015, ma l’agenzia federale del lavoro annuncia che al paese serviranno almeno 400mila ingressi l’anno per sopperire al bisogno di forza lavoro nella logistica e nella sanità. L’Italia quest’estate ha raggiunto il tasso più alto di contratti stagionali degli ultimi 8 anni, sottopagati e con situazioni spesso irregolari. Al di là della Manica, il Regno Unito che ha votato la Brexit contro i migranti cerca di fronteggiare la carenza di manodopera in settori strategici tra cui l’autotrasporto proponendo regolarizzazioni temporanee e ad hoc. Che si tratti di richiedenti asilo, di lavoro o di ricongiungimenti, la logica ormai dominante in Europa è quella di bloccare con violenza e selezionare solo gli uomini e le donne che sono ritenuti utili e meritevoli ma, nonostante ciò, tenuti sempre sull’orlo del ricatto della clandestinità.

Di fronte a tutto questo, non cediamo al tentativo europeo di dividerci fra chi ha l’asilo e chi no, chi è regolare e chi è illegale, fra chi lavora sotto ricatto e chi è rinchiuso in hub, fra chi è dentro le frontiere europee e chi è fuori: rifiutiamo di essere la merce di scambio fra i paesi-frontiera e l’UE e non accettiamo di essere considerati solo come manodopera da sfruttare. Dobbiamo unire le nostre voci per esprimere la nostra forza e il nostro rifiuto in qualcosa di più grande delle manifestazioni, delle marce, dei picchetti e degli scioperi che organizziamo a livello locale: dopo la giornata di lotta del 1 maggio, che ha lanciato la parola d’ordine dello sciopero transnazionale dei migranti, come Coordinamento Transnazionale dei Migranti vogliamo costruire comunicazione e momenti di confronto per superare le divisioni: che siano tra uomini e donne, in base alla provenienza, oppure quelle imposte dal razzismo istituzionale, dalle condizioni di vita e di lavoro. Mentre la democratica Europa ricorre agli autoritarismi nazionali per frenare il possibile arrivo in massa dei migranti e al razzismo istituzionale per tenere sotto ricatto gli uomini e le donne migranti dentro i propri confini, noi vogliamo costruire connessioni che sostengano una lotta comune per la libertà di movimento, per la libertà di restare e per un permesso di soggiorno europeo senza condizioni. La sola risposta al fondamentalismo, alla violenza patriarcale e all’oppressione razzista è la libertà di movimento senza condizioni.